Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Cass. n. 12205/2015) ha ribadito il principio secondo cui un paziente, sottoposto a intervento chirurgico senza il suo preventivo consenso informato, va risarcito anche se l’intervento sia riuscito.
Si ratta del caso di una signora che, sottoposta ad intervento chirurgico per l’asportazione di cisti ovarica, nel corso dell’intervento stesso i chirurghi, di propria iniziativa, hanno proceduto a laparatomia, isterectomia totale e altro, poiché nel corso nell’intervento originario a seguito dell’esame istologico era stata formulata diagnosi di adenocarcinoma.
I giudici di merito (tribunale e corte d’appello) non ritennero sussistere alcuna reponsabilità in capo ai sanitari alla luce della riuscita dell’intervento e del fatto che esso si rivelò risolutivo per la salute della paziente.
La corte di legittimità ha cassato la decisione della corte territoriale, esprimendo principi già espressi con altre decisioni e che, in questa sede, si possono sintetizzare sommariamente come segue:
a) Il diritto al consenso informato consiste nel “diritto ad essere informati sulla direzione dell’attività medica sula propria persona e a consentirla all’esito dell’informazione, prestando il consenso.
b) la lesione, da parte del medico, del diritto ad esprimere il consenso informato si verifica per il solo fatto che egli tenga una condotta che lo porta al compimento sul paziente di atti medici senza averne acquisito preventivamente il consenso (danno evento);
c) il “danno conseguenza” è rappresentato “dall’effetto pregiudizievole che la mancanza dell’acquisizione del consenso e, quindi, il comportamento omissivo del medico, seguito dal comportamento positivo di esecuzione dell’intervento, ha potuto determinare sulla sfera della persona del paziente (…) la quale, se le informazioni le fossero state date, l’avrebbe portata a decidere sul se assentire alla pratica medica”;
d) si configura, pertanto, il cosiddeetto “danno conseguenza”, consistente nella privazione della libertà di del paziente di autodeterminarsi e, quindi, nella perdita di un bene personale.
La Corte di legittimità precisa ulteriormente che: 1) “il bene tutelato con riferimento al procedere senza l’acquisizione del consenso informato è la libertà di autodeterminazione circa il proprio stato psico-fisico”; 2) mentre il bene tutelato con riferimento all’esecuzione dell’attività medica è la salute, cioè la condizione psico-fisca del soggetto come tale.
Pertanto, alla paziente sottoposta ad un più radicale intervento chirurgico rispetto a quello per il quale era stato raccolto il suo consenso, è stata negata:
- la possibilità di autodeterminarsi e quindi di decidere se sottoporsi all’intervento estensivo, se eseguirlo altrove o in altro momento o non eseguirlo per nulla;
- la possibilità di compiere tale scelta in modo meditato;
- la possibilità di “abituarsi” all’idea di dover subire interventi domolitori e quindi di acconsentirli.